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LA MEMORIA VERDE DEL PIANETA

Un albero non dimentica: si limita a respirare al posto di chi ha smesso di farlo

LA MEMORIA VERDE DEL PIANETA.png

Ogni albero è un archivio.
Non solo di tempo, ma di respiro, di luce, di vita.
Dentro i suoi anelli si nascondono le ere, le piogge, i venti, le carezze del sole e le ferite del gelo.
Un albero non cresce: ricorda.
Ricorda la pazienza del mondo, la lentezza dell’evoluzione, la forza invisibile che unisce ciò che nasce e ciò che ritorna alla terra.
Le foreste non sono solo un paesaggio: sono la coscienza biologica del pianeta.
Ogni radice parla con le altre attraverso reti invisibili di funghi e microorganismi: un linguaggio antico che l’uomo ha dimenticato di ascoltare.
Le piante si scambiano informazioni, proteggono i loro figli, si avvertono dei pericoli.
Hanno una socialità silenziosa, un’intelligenza che non ha bisogno di parole.
In loro, la vita non grida — respira.
Quando entriamo in una foresta, non entriamo in un luogo: entriamo nel pensiero della Terra.
Ogni foglia è una sinapsi, ogni ramo una frase incompiuta.
E noi, distratti, passiamo senza comprendere che stiamo camminando dentro una mente che non dorme mai.
Il pianeta pensa, ma non con i neuroni: pensa con la linfa.
Eppure, stiamo cancellando la memoria del pianeta come se fosse un file inutile.
Ogni albero abbattuto è una pagina strappata al libro della vita.
La deforestazione avanza come un’amnesia collettiva: più tagliamo, più dimentichiamo chi siamo.
Ogni ettaro di verde perduto è una perdita di ossigeno, ma anche di identità.
Perché senza la foresta, l’uomo perde la memoria della sua origine: la selva primordiale da cui è emerso, con il cuore pieno di stupore e paura.
Ma la foresta non ci odia.
Ci osserva e ci attende.
Ha la pazienza di chi sa che il tempo è dalla sua parte.
Quando l’uomo cadrà, lei tornerà a coprire le sue rovine, come un manto di perdono.
Lo ha già fatto molte volte.
Ogni civiltà scomparsa è diventata terreno fertile per nuove radici.
Noi non salveremo la natura: sarà la natura a salvarci, insegnandoci di nuovo la lentezza, la cooperazione, la gratitudine.
Gli scienziati chiamano “intelligenza vegetale” ciò che le antiche culture avevano già intuito come spirito del mondo.
Per gli aborigeni australiani, gli alberi erano antenati; per gli sciamani amazzonici, erano voci divine; per i poeti, erano preghiere verticali.
Oggi, nella nostra arroganza digitale, ci dimentichiamo che un algoritmo non produrrà mai ossigeno, e che nessun server potrà eguagliare la bellezza silenziosa di un bosco che si risveglia all’alba.
Il pianeta non ha bisogno di essere conquistato, ma ricordato.
E la memoria verde che ci circonda è l’unica biblioteca che non mente: scritta in tronchi, muschi, cortecce e semi.
Ogni foglia che cade in autunno è un atto di fede, la certezza che la vita sa come tornare.
E noi, esseri tecnologici e smemorati, dovremmo solo imparare ad ascoltarla di nuovo.
Perché la foresta parla, anche se nessuno la sente.
E nel suo silenzio, custodisce l’unico segreto che conta: che tutto ciò che esiste vuole ancora vivere.

  IL METAVERSALISTA

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