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Nati come strumenti per l’agricoltura di precisione, la logistica e la ricerca scientifica, i droni hanno compiuto un salto epocale, passando in pochi anni dal mercato civile ai teatri di guerra. Oggi sono i protagonisti invisibili di conflitti come quello in Ucraina, dove hanno cambiato radicalmente il modo di combattere, abbassando i costi della guerra e moltiplicando i rischi per i civili.
L’uso civile: efficienza e progresso
In ambito civile i droni hanno migliorato la vita di milioni di persone. Dai controlli ambientali al monitoraggio dei campi coltivati, dal soccorso alpino alle consegne urbane, sono strumenti capaci di ampliare le possibilità umane. Il loro sviluppo ha creato nuove filiere economiche e professioni, contribuendo a un’economia tecnologica più sostenibile ed efficiente.
La svolta militare: la guerra low cost
Ma sul fronte bellico la storia cambia. In Ucraina, in Medio Oriente e in Africa, i droni si sono trasformati in armi “democratiche”: economici, facilmente reperibili e adattabili. Con poche centinaia di euro un drone commerciale può essere trasformato in un ordigno volante. I modelli militari, invece, consentono ricognizioni, attacchi mirati e saturazione dello spazio aereo, mettendo in crisi difese tradizionali costose e ingombranti.
Il conflitto in Ucraina è diventato un laboratorio a cielo aperto: migliaia di droni sorvolano le linee nemiche ogni giorno, con conseguenze drammatiche per soldati e civili. Le vittime aumentano, mentre i governi investono miliardi per sviluppare sistemi anti-drone, inaugurando una nuova corsa agli armamenti.
Gli sviluppi futuri: autonomia e intelligenza artificiale
Il passo successivo è già in fase di test: droni autonomi guidati dall’intelligenza artificiale, capaci di prendere decisioni senza supervisione umana. Questo scenario porta con sé rischi inediti: errori di identificazione, attacchi indiscriminati, impossibilità di attribuire la responsabilità a un soggetto preciso. La combinazione tra AI e droni segna la soglia pericolosa delle “armi autonome letali”, che potrebbero agire fuori dal controllo umano.
Una soluzione necessaria: il trattato internazionale sui droni
Come è accaduto per le armi chimiche e biologiche, la comunità internazionale deve affrontare il problema prima che sia troppo tardi. Una possibile soluzione è un trattato internazionale sui droni, che:
distingua chiaramente gli usi civili da quelli militari;
vieti la produzione e l’uso di droni autonomi armati;
imponga sistemi di tracciabilità e certificazione dei droni civili;
preveda sanzioni severe contro chi utilizza tecnologie civili per scopi bellici.
Parallelamente, le aziende produttrici devono assumersi la responsabilità etica del proprio operato, implementando limitazioni hardware e software che rendano difficile la conversione dei droni civili in strumenti di guerra.
Conclusione: il bivio tecnologico
Il futuro dei droni è già scritto: potranno salvare vite o distruggerle. La direzione dipenderà dalla capacità di regolamentare l’uso di queste macchine e di mantenere la centralità dell’uomo nelle decisioni di vita e di morte. La sfida è urgente: lasciare che la tecnologia corra senza freni significa consegnare il cielo non ai pionieri della scienza, ma agli architetti della guerra.
IMPIANTATO IL PRIMO ORECCHIO BIONICO STAMPATO IN 3D
Eccezionale intervento ricostruttivo negli Stati Uniti apre le porte ad impensabili sviluppi nel campo della medicina rigenerativa e nei trapianti
Ha 20 anni, è messicana, e si chiama come una famoso apparato tecnologico diffuso da Amazon, Alexa. Da oggi, anche lei, ha qualcosa di futuribile impiantato nel proprio corpo. Un orecchio stampato in 3D realizzato con le cellule della stessa donna. Ne da notizia il New York Times e rappresenta un straordinario progresso nel campo dell’ingegneria dei tessuti. Il capolavoro si è reso possibile grazie alla tecnologia sviluppata da un’azienda biotech americana, la 3DBio Therapeutics, leader nella medicina rigenerativa attraverso la biostampa in 3D per fornire tessuti ed organi viventi, funzionali e personalizzati, progettati secondo le esigenze sanitarie dei pazienti. La paziente che ha ricevuto l’orecchio bionico fa parte di una sperimentazione clinica che comprende 11 pazienti. Alexa era affetta da microtia, un raro difetto congenito che rende la parte esterna dell’orecchio piccolo e deformato. L’intervento è avvenuto nel marzo scorso ma è stato comunicato solo adesso e tutto sta procedendo bene. Il fatto che le cellule che hanno ricostituito il nuovo orecchio provengano dal tessuto stesso del paziente fa ben sperare e bassa la probabilità di rigetto. Anzi, l’orecchio bionico sta continuando a rigenerare il tessuto cartilagineo, conferendogli un aspetto naturale.
Le fasi dell’intervento sono degne di nota: un chirurgo ha rimosso una parte di cartilagine dal moncone esistente della paziente ed assieme ad una stampa in 3D dell’altro orecchio sano, sono stati inviati all’azienda 3DBio. Qui le cellule viventi sono state mescolate con il bioinchiostro a base di collagene prodotto dall’azienda. Questo è stato inserito con una siringa nella biostampante, la quale ha spruzzato il materiale replicando l’orecchio sano della paziente, così come un qualunque processo di riproduzione in 3D. La forma dell’orecchio stampata è stata spedita in un guscio protettivo in celle frigorifere ed il chirurgo, ricevuto il pacco (magari proprio da Amazon…) ha impiantato l’orecchio bionico sotto la pelle della paziente. Quando la pelle è stata tesa attorno all’impianto, è emersa la forma del nuovo orecchio.
I dirigenti dell’azienda 3DBio affermano che tale tecnologia potrà essere usata in altre parti del corpo come il naso, i dischi spinali, il menisco del ginocchio e la cuffia dei rotatori. Ma apre la strada anche alla produzione in 3D di organi vitali ben più complessi come il fegato, i reni e persino il pancreas, rivoluzionando il settore dei trapianti e l’aspettativa di vita dei pazienti affetti da gravi malattie. Certo, il percorso verso il trapianto in 3D di organi importanti del corpo umano è ancora molto lungo ma questa nuova tecnologia, che sta muovendo i primi passi, rappresenta un decisivo passo in avanti. La domanda da porsi adesso non è ‘se’ ma ‘quando’ sarà possibile. Sicuramente siamo testimoni di una rivoluzione scientifica che rappresenterà una pietra miliare nell’utilizzo della tecnologia 3D nei trapianti rigenerativi sull’essere umano.
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